Un Ottoni al seguito della bella Lucrezia nel suo ultimo viaggio verso Ferrara

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La duchessa Lucrezia Borgia, da una copia di Bartolomeo Veneto

Uno dei personaggi più controversi del Rinascimento italiano è certamente Lucrezia Borgia (1480-1519), malefica avvelenatrice e famelica cortigiana per alcuni, moglie solerte e brava amministratrice con il dono della pietas per altri. Quest’ultima lettura del personaggio, a dire il vero, nasce soprattutto dal ricordo che lasciò la figlia di papa Alessandro VI a Ferrara, grazie anche a recenti ricerche condotte dalla professoressa Diane Ghirardo della University of Southern California, dall’astrofisico con la passione per la storia e la linguistica Daniele Palma ed alla divulgazione del libro di Dario Fo “La figlia del Papa” (Chiarelettere, 2014), convinto assertore del fatto che un racconto arbitrario della sua vita e tanti luoghi comuni abbiano generato una sorta di patina sulla sua figura di donna, reggente e madre, quindi diventa necessario approfondire la documentazione storica per risalire alla veridicità dei fatti.

La cesura della vicenda storica ed umana della «Ducissa», come la chiamarono a Ferrara nel settembre 1501, sembra evidenziarsi proprio nel viaggio che la allontanò dalla corrotta corte papale per portarla nei domini estensi.

Lucrezia lasciava infatti alle spalle un’infanzia certamente molto turbolenta, generata dalla mancanza di una famiglia vera e propria, segnata più da scandali, delitti e sotterfugi, che da amore vero. Gli ultimi anni della nobile ventenne erano forse stati i più tempestosi. Costretta a sposare Alfonso d’Aragona, che l’aveva poi lasciata, era stata incaricata dal padre nell’agosto 1499 di governare le città di Foligno e Spoleto, dove arrivò incinta al sesto mese. Quindi era seguita la nascita del figlio Rodrigo a novembre, poi gli odi del fratello Cesare verso di lei e verso il marito perché ne ostacolavano l’espansione del potere, culminati nel tentato omicidio di Alfonso a Roma il 15 luglio 1500 ed infine il successivo strangolamento, il 18 agosto, ad opera forse di Michelotto Corella (capitano d’arme di Cesare Borgia), mentre era ancora convalescente. Dopo la sua repentina fuga dall’Urbe ed il rifugio nel palazzo di Nepi, l’ormai vedova Lucrezia aveva ricevuto proposte di matrimonio da diversi illustri pretendenti. Rifiutata quella con il duca di Gravina, Francesco Orsini, aveva però ceduto a quella con l’erede al trono del Ducato di Ferrara, Alfonso d’Este, figlio di Ercole I.

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Alfonso I d’Este

Questo matrimonio appariva come un successo diplomatico, mettendo al sicuro le recenti conquiste dei Borgia nell’Italia centrale ed ostacolando così eventuali pretese di Venezia sul lido. Forti erano state le resistenze comunque dello stesso duca di Ferrara, impegnato da tempo con il re di Francia per far sposare il figlio con Luisa d’Angoulême ed inoltre molto sospettoso circa la moralità della fascinosa vedova ventenne, sulla cui condotta circolavano libelli e pettegolezzi a non finire. A spuntarla fu infine il papa, in cambio del consenso papale a far attraversare lo Stato della Chiesa dalle milizie francesi per la spartizione del Regno di Napoli tra i re Luigi XII e Ferdinando il Cattolico di Spagna. Non bastò comunque: il duca di Ferrara pretese una dote elevata per questo matrimonio: 100.000 ducati, i castelli di Cento e della Pieve, gioielli e monili per un valore che si aggirava sui 75.000 ducati, la riduzione del canone annuale da versare alla Santa Sede per i diritti sul feudo di Ferrara da 4000 a 100 ducati e l’investitura diretta dello stesso feudo per tutti i discendenti in linea maschile di Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia. Il contratto di matrimonio fu firmato nel castello di Belfiore a Ferrara il 26 agosto 1501 dai delegati delle due parti; il 1 settembre iniziava per Lucrezia Borgia il viaggio che la condusse, attraverso l’Umbria e le Marche, nella Romagna, dove sarebbe poi morta 18 anni dopo 1.

Un documento conservato presso l’Archivio storico di Modena ci indica i nomi dei tantissimi accompagnatori di Lucrezia, che secondo il Sanudo sarebbe stato composto da 753 persone, 426 cavalli e 234 muli. Si inizia con le dame personali e consanguinee Geronima Borgia e Adriana Mila con le rispettive domestiche, la bellissima Angela Borgia, «Elisabetha sanese et sua figlia, Elisabetha perusina, Catherina spagnola, Alexandra, Geronima, Nicola, Camilla, Catherinella negra (una schiava di colore, la sua prediletta)», quattro cameriere, di cui una napoletana con le figlie «Samaritana e Camilla greca», tale «Madonna Joanna», da alcuni riconosciuta come la spagnola Juana de Mocada, sposata con un nipote del pontefice. Secondo il poeta Fausto Evangelista Maddaleni, ci sarebbe poi stata anche Drusilla, l’amante di Cesare Borgia, stando almeno al titolo dell’epigramma «Sulla tristezza di Cesare per la partenza di Lucrezia Borgia e di Drusilla». Sta di fatto che nessun documento lo conferma e non si può nemmeno escludere che fossero due destinazioni diverse le loro.

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Con il corteo, almeno fino a Gualdo Tadino, ci fu anche il cardinale di Cosenza, Francesco Borgia. Poi c’erano tre vescovi, il maggiordomo di Lucrezia con la spada ed il berretto consegnatigli dal papa, il segretario personale della futura duchessa «Messer Christoforo» Piccinini (antenato dell’omonimo poeta fabrianese vissuto oltre un secolo dopo), «il bacilliere» (sorta di legale al seguito), il maestro di cerimonie, due cappellani, il maestro delle stalle, «Vincentio guardaroba» (forse il guardarobiere Vincenzo Giordani), lo scalco Sancio, il maestro di cavallo, il coppiere Baldassarre, il responsabile dei coltelli, il «credenciero», il portatore del sottocoppa, il portinaio, «Martin che legge il libro», dieci paggi, dieci stallieri, il responsabile della sua cappella, un fabbricante di candele, lo «spenditore» per le spese della cucina, il sarto, il «repostero» o credenziere, il cantiniere, due cuochi, Alonso l’orefice, i ragazzi di stalla, i cocchieri, il fabbro, il sellaio, «mastro Alvisi da Cremona», Navarrico, una sorta di bravo del Borgia che si occupava dei messaggi riservati, cinquanta mulattieri con centocinquanta carri e muli.

Infine, gli armati: otto scudieri quasi tutti spagnoli e nobili non ancora spodestati dal Borgia: Francesco Colonna di Palestrina con la moglie, Giuliano Orsini di Stabia, il capitano della guardia pontificia e nipote del papa Guillem Ramón, quattro ambasciatori romani, otto nobili romani, trenta gentiluomini fedelissimi di Cesare Borgia, tra cui Ugo de Moncada, Yves d’Alègre, Juan Castellar, Remolins, Juan Marrades e Ottaviano Fregoso. Seguivano sei buffoni, trenta trombettieri e «Nicolò il musico» 2.

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Corazza di armigero

Tra gli altri, i documenti ci dicono che era presente Rinaldo (o Rinalduccio) Ottoni da Matelica, figlio di Alessandro e di Violante Malatesta, sposato con Lisabetta dei marchesi di Monte Santa Maria. Nonostante la sua presenza, un anno dopo, nell’ottobre 1503 Matelica sarebbe stata assegnata da papa Alessandro VI a Giovanni Borgia, occupata dal cardinale Farnese e dallo spagnolo Piretro Perez, costringendo i signori della città all’esilio fino alla morte del papa nell’agosto del 1503. L’uditore del cardinale, Alessio da Bologna avrebbe poi mutato il governo nominando nuovi priori e mutando i regolamenti comunali 4.

Tornando al viaggio, non stupisca la pompa magna offerta. Al tempo era consuetudine delle grandi casate fare simili cortei che attraversavano la penisola come un piccolo esercito. E dalla parte opposta, il corteo dei ferraresi non era tanto da meno, con circa cinquecento persone al seguito e guidato da Ferrante e Sigismondo d’Este, Annibale Bentivoglio, Ercole d’Este figlio di Sigismondo, fratello del duca.

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La fortezza di Nepi

Il viaggio iniziò come detto da Nepi, dove i priori del centro, si videro recapitare una lettera pontificia nella quale si ordinava di dare loro ospitalità: «Duecento cavalieri saranno ricevuti da voi, e noi vi ordiniamo, per non incorrere nel nostro dispiacere, di accordare òloro onorevole ospitalità per il giorno e le due notti che essi trascorreranno presso di voi, sì che con le vostre premure possiate meritare il nostro buon ricordo».

Dopo le cerimonie ci accoglienza, il folto gruppo ripartì, superando i precipizi del monte Soratte e mettendosi in marcia verso Civitacastellana, dove fecero tappa, prima di raggiungere Narni. Pare che il primo freddo autunnale o le difficoltà del viaggio, con pasti frugali, furono all’origine degli alterchi fra i vari componenti del corteo. A cercare di riportare l’armonia tra romani, spagnoli e ferraresi ci provò invano Gian Luca Castellini nel corso della cena che si consumò a Narni. Alla fine la missione di placare gli animi riuscì alla bella Lucrezia, invitata ad ammaliare il suo seguito su invito del cardinale Francesco Borgia.

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Spoleto

Un nuovo episodio dove Lucrezia fu costretta ad intervenire accadde comunque a Spoleto. Qui, la bella figlia del papa, accolta tra mille onorificenze dagli spoletini, rimase nella sua camera, mentre le donne del suo seguito ballarono fino all’alba. L’indomani, dai gozzovigli e le intemperanze della notte, ne nacquero dei brusii e delle rivalità che Lucrezia fu costretta a mettere a tacere. La consanguinea Geronima Borgia, sposata a Fabio Orsini, avrebbe infatti contratto la sifilide, mentre la sorella quindicenne Angela Borgia e la sua amica Caterina di Valenza subivano le calde attenzioni dei fratelli d’Este Ferrante e Sigismondo. Lucrezia, intervenendo per riportare la pace, volle allora prendere d’esempio la sua schiava nera «Catherinella, tanto accorta quanto virtuosa», della quale tutti avevano coscienza.

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Isabella d’Este

Il viaggio allora riprese, ma non fu affatto facile, dato che le strade dissestate avevano ormai rotto gli assi delle lettighe, rallentando di molto l’andatura di tutto il lungo corteo, generando emicranie e facendone un po’ sciupare la bellezza di donna Lucrezia, che una volta giunta a Foligno, fu curata ed imbellettata a dovere dalle sue donne al seguito. «Ieri – scrisse Alfonso d’Este alla sorella Isabella di Mantova, narrandole l’incontro avvenuto a Foligno – noi due abbiamo aperto le danze, e non l’avevo mai vista così bella. Aveva i capelli ancor più dorati del solito. Sembra che per conservarne il colore, questo biondo straordinario, sia necessario lavarli molto spesso. Nel suo abito di velluto nero appariva ancor più sottile e graziosa. Portava in capo una cuffietta d’oro, che si distingueva appena dall’oro dei suoi capelli».

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La rocca di Gualdo Tadino

Dopo essere ripartiti, raggiunsero Nocera Umbra e poi a Gualdo Tadino, confine tra il territorio pontificio e il Ducato di Urbino. Qui si salutarono Francesco e Lucrezia Borgia: il cardinale di Cosenza tornò verso Roma. Fu l’ultimo saluto tra i due e pare che scesero abbondanti lacrime dagli occhi di lei che lasciava il suo compassionevole e saggio zio.

Il giorno dopo, 16 gennaio 1502, invece seguì l’incontro tra Lucrezia e la duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga, figlia di Federico marchese di Mantova. Il marito Guidobaldo, imprigionato e torturato dal vanesio e stolto Cesare Borgia, aveva causato problemi economici alle casse statali per il suo riscatto ed il suo volto era divenuto irriconoscibile perfino alla moglie. Difficile quindi dimenticare quanta sofferenza fosse stata provocata dalla dispotica famiglia spagnola. Un clima gelido in ogni senso accolse i due cortei che si incontrarono presso Gubbio e le due nobildonne «fatte per Sue Signorie, gli abbracciamenti con grandissime dimostrazioni di amore vicendevole», si sarebbero poi dirette verso il monte Ingino dove, secondo la tradizione popolare, san Francesco d’Assisi rese mansueto il feroce lupo di Gubbio, quindi entrò nelle vie del centro, per essere tutti accolti nel palazzo ducale costruito intorno al 1479.

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Urbino, il Palazzo Ducale

Tra le due donne nacque della simpatia nonostante tutto. Il giorno dopo, 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, partirono insieme con la lettiga alla francese, messa a disposizione da papa Alessandro VI per raggiungere insieme Urbino. Elisabetta intanto scriveva alla cognata Isabella che Lucrezia «sembra uscire da una miniatura e ha quella particolare luminosità delle persone che hanno sofferto e hanno dominato la propria sofferenza».

Le tappe successive furono Cagli, poi Urbino, dove il corteo fu accolto alle porte della città dal duca Guidobaldo, dove Lucrezia rimase stupita dalla musica e dalla profonda ilarità che caratterizzava quella casa, con il popolo che amava i propri sovrani, cosa rara nell’Italia del tempo. Il viaggio riprese il 20 gennaio diretti a Pesaro e pare che tornasse alla memoria della giovane Lucrezia le malvagità compiute dal fratello Cesare per scacciare gli Sforza. Il suo soggiorno nella città di mare fu comunque molto riservato, chiusa in camera a curare il suo viso e per una congenita inclinazione alla solitudine pare.

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Rimini, Palazzo dell’Arengo

Il viaggio proseguì tra incantevoli paesaggi verso Rimini, con Lucrezia accolta dai Malatesta e dai loro buffoni che ne cantarono la bellezza fisica e la dolcezza. L’ultimo tratto fu infine il più difficile, dato che il capitano d’armi della Repubblica di Venezia, Giovanni Battista Caracciolo progettava di rapire Lucrezia Borgia per vendicare il rapimento della moglie Dorotea da parte di Cesare Borgia. Inoltre il brigantaggio romagnolo imperversava e così Ferrante d’Este si vide costretto il 23 gennaio ad aggiungere come scorta al corteo ben mille fanti e centocinquanta cavalieri. Lungo la via Emilia si raggiunsero Faenza, Imola e poi Forlì. Qui Lucrezia volle fermarsi per risistemarsi e lavarsi i capelli dopo otto giorni, al fine di non apparire «sbattuta e sconquassata» e spiegando poi al suocero che avrebbe voluto fare ingresso a Ferrara nella data del 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria, così da ricevere la protezione della Vergine per la sua nuova vita. E fu con questo segno infatti che Lucrezia volle rinnovare la sua vita e tra i ferraresi è ancora oggetto di un positivo ricordo 5.

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Tomba di Lucrezia Borgia

Il corteo che giunse a Ferrara fu accolto con grandissima onorificenza e una scenografia studiata nei minimi particolari. L’accoglienza riservata fu grandissima. L’occasione fu utile per far stringere nuove e preziose amicizie. Tra i tanti che ricorderemo quella che si instaurò tra il futuro signore di Matelica Rinaldo e la corte degli Este. Nel febbraio 1504 a Ferrara fu ospite il condottiero albanese Costantino Arianitti Comneno, principe di Durazzo e duca di Acaia, che qui ebbe modo di conoscere quel Rinaldo o Rinalduccio che era al seguito di Lucrezia Borgia. Rimasto vedovo, Rinalduccio sposò nel 1524 la figlia del condottiero cognato dello Skanderbeg, Polissena Arianiti o Arianitti (da questo forse derivò il nome del nipote Arianitto) 6.

Uno dei figli che ne nacque da questa unione si chiamò Ercole, chissà se in onore del duca d’Este o del nipote conosciuti in quell’occasione tanto particolare del viaggio della figlia del papa.

 Matteo Parrini

  1. CHASTENET, Lucrezia Borgia, la perfida innocente, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1995, pp.170-193.
  2. CARTWRIGHT, Isabella d’Este, Marchioness of Mantua, 1474-1539: a study of the Renaissance, Londra 1903, vol. II, p.25.
  3. BRADFORD, Lucrezia Borgia, la storia vera, Milano, Mondadori, 2005 cap. VII.
  4. ACQUACOTTA, Memorie di Matelica, Tipografia Baluffi, Ancona, 1838, pp.152-153.
  5. CHASTENET, op. cit., pp.194-206.
  6. PULETTI, Cercando l’ultimo Signore di Matelica, nel settimanale diocesano L’Azione del 18 gennaio 2014, p.15.

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